Agricoltura 4.0, viaggio nelle serre dove si coltiva fuori terra
Tratto da: https://www.corriere.it/pianeta2020/p2021-webrep-agricoltura-40-test/
Da Mantova a L’Aquila, da Moncalieri a Roma, un fotoreporter ha trascorso 6 mesi percorrendo 3 mila chilometri per conoscere le piccole e grandi aziende protagoniste della rivoluzione verde… senza campi.
Un lavoro lungo 6 mesi e 3 mila chilometri. Su e giù per la penisola per andare a scoprire le eccellenze della nuova agricoltura italiana. È il reportage di Luigi Avantaggiato che trovate in questa pagina online di 7. Un lavoro iniziato per rispondere a una precisa domanda: si può coltivare dove c’è poca terra? Il racconto per immagini del fotoreporter, 38 anni, salentino ma romano d’adozione, indaga le principali realtà che oggi adottano metodologie di coltivazione “fuori suolo” per produrre cibo di altissima qualità in modo sostenibile.
Secondo la FAO, nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 10 miliardi. Per colmare i bisogni alimentari di così tante persone si stima che saranno necessarie le risorse di due pianeti, a meno che non ci sia una radicale inversione di rotta dei modi di consumo del cibo e dei suoi metodi di produzione. Le tecniche di coltivazione attuali, inoltre, non saranno né sufficienti né sostenibili per questa nuova sfida, che vede invece i centri urbani, l’innovazione tecnologica e nuove forme di partecipazione attiva dei cittadini come gli agenti decisivi di un punto di svolta.
I cambiamenti climatici e la crescita della popolazione mondiale hanno messo a dura prova i sistemi produttivi estensivi su suolo, sempre più gravati da terreni esausti o inquinati. Nelle colture tradizionali, infatti, il terreno si trova spesso in condizioni agronomiche e fitosanitarie tali da non permettere più la coltivazione senza ingenti interventi agrochimici per fertilizzare, controllare i patogeni tellurici e le piante infestanti.
«I cambiamenti climatici e la crescita della popolazione mondiale hanno messo a dura prova i sistemi produttivi estensivi su suolo, sempre più gravati da terreni esausti o inquinati»
La ricerca di alternative ha portato negli ultimi anni a un grande sviluppo delle colture fuori suolo, ovvero tecniche di coltivazione quali idroponica, acquaponica e fattorie verticali dove la terra è sostituita da un substrato inerte o dall’acqua e dove l’orizzontalità del campo coltivato lascia il posto alla verticalità dei fitotroni. Nell’idroponica il suolo non è più parte attiva del sistema di produzione agricolo ma viene sostituito da substrati inerti o da supporti artificiali che ne svolgono la stessa funzione. Il rifornimento di acqua e sali minerali, indispensabili allo sviluppo della pianta, avviene attraverso la somministrazione di soluzioni nutritive valutate per le reali necessità delle colture, lungo tutto il ciclo produttivo.
Le fattorie verticali sono coltivazioni idroponiche in ambienti o serre chiusi che si sviluppano in altezza su più livelli illuminati artificialmente, dove sono ricreate le migliori condizioni ambientali di crescita, o laboratori climatizzati e automatizzati da algoritmi di calcolo e reti di sensori in grado di gestire pienamente i protocolli cultivi della varietà di pianta in crescita.
Le fattorie verticali indoor fanno largo uso di sensoristica, di metodiche computerizzate di gestione e di Big Data. La distribuzione dei nutrienti e la scelta dei parametri luminosi viene gestita da algoritmi ottimizzati sulle specifiche esigenze della specie in coltura: la crescita delle piante è monitorata costantemente, senza agenti esterni e il contatto con l’operatore umano è ridotto al minimo se non del tutto assente. Nei fitotroni a moduli verticali le piante maturano in un clima diverso da quello dell’ambiente esterno, tinteggiate da una luce viola che riempie di colore ogni angolo della cella climatica.
Lo spettro violaceo che illumina i germogli innesca e regola la fotosintesi, ma rappresenta anche il primo ingranaggio del complesso meccanismo della produzione agricola sostenibile poiché consente di trasformare ogni luogo chiuso o angolo buio in un potenziale spazio di coltivazione, o di ottimizzare le risorse in quelli già esistenti.
«L’illuminazione artificiale a led ha aperto la strada a nuove applicazioni e reca una serie di vantaggi in termini di produttività e di ottimizzazione dei processi»
BIO EXTRA SOLUM, MONCALIERI
«L’illuminazione artificiale a led ha aperto la strada a nuove applicazioni e reca una serie di vantaggi in termini di produttività e di ottimizzazione dei processi. La nostra avventura è iniziata nel 2016 e abbiamo fatto molta ricerca ed esperienza sul campo per adattare questa tecnologia alla nostra realtà. Illuminazione, irrigazione, scelte varietali e molti altri accorgimenti sono stati sviluppati e raffinati negli anni. Criticità – come gli elevati consumi energetici, impiegati sia per l’illuminazione che per la gestione del clima – sono state risolte con un uso ibrido del vertical farming e con l’autoconsumo e l’acquisto di energia da fonti rinnovabili».
«L’obiettivo del nostro percorso è stato sempre quello di essere innovativi e sostenibili, perseguendo un aumento della produttività associata ad una maggiore etica». È la voce di Vittorio Gariglio dell’azienda Bio Extra Solum che da Moncalieri (TO) produce basilico biologico e altre colture anche grazie all’ausilio del vertical farming.
Il risparmio di acqua rappresenta una delle conquiste maggiori delle tecniche di coltivazione fuori suolo: queste metodiche forniscono alle piante solo la quantità idrica necessaria al loro sviluppo, senza alcuna dispersione. In una serra acquaponica il paradigma del risparmio idrico assume una nuova declinazione e prende vita nelle vasche di allevamento, dove i pesci nuotano tra le radici dell’insalata cappuccina e del radicchio.
L’acquaponica è il risultato di una fusione tra un sistema idroponico e la riproduzione di un ecosistema naturale in cui pesci e batteri producono nutrienti per la coltivazione delle piante. In questo sistema elementi quali azoto e fosforo – derivanti sia dall’escrezione e deiezioni del pesce, sia dalla decomposizione del cibo non ingerito – possono essere assorbiti dalle radici delle piante che sono direttamente immerse nell’acqua.
A pochi kilometri da Roma, presso The Circle, itticoltura e agricoltura si mescolano tra loro in 5000mq di serre dove colonie di pesci d’acqua dolce nutrono insalate che crescono in supporti verticali.
«Nel nostro impianto acquaponico – racconta Thomas Marino, tra i fondatori dell’azienda – riduciamo del 90% il consumo d’acqua rispetto l’agricoltura tradizionale e non utilizziamo fertilizzanti chimici producendo insalate ed erbe aromatiche di altissima qualità, senza alcun impatto sull’ambiente. Il nostro impianto di coltivazione fuori suolo ci consente di non avere i problemi legati ai terreni esausti o contaminati dove sono presenti la maggior parte degli inquinanti che inficiano la qualità del prodotto».
«Nel nostro impianto acquaponico riduciamo del 90% il consumo d’acqua rispetto l’agricoltura tradizionale e non utilizziamo fertilizzanti chimici»
Thomas Marino
THE CIRCLE, ROMA
Rispetto all’agricoltura convenzionale in campo aperto, le metodologie fuori suolo sono più produttive del 75%, riducono drasticamente i consumi idrici sino al 90% e rendono piante più sane e migliori da un punto di vista nutrizionale rispetto quelle coltivate in campo aperto, poiché non sono minacciate dalle intemperie metereologiche o dall’avvelenamento dei terreni. Gli ortaggi e le piante cresciuti in ambienti di coltivazione controllata sono in grado di sviluppare appieno il loro potenziale nutrizionale e gli alimenti vegetali risultano qualitativamente migliori, più ricchi di elementi e più sani: in un certo senso, vero cibo.
Questa serie fotografica racconta alcuni esempi italiani di industrie, aziende agricole innovative e centri di ricerca istituzionali e privati che adottano tecniche sostenibili per produrre cibo e piante di altissima qualità. Il lavoro di queste aziende si fonda sui paradigmi dell’agricoltura 4.0 che prevede l’utilizzo armonico di diverse tecnologie finalizzate a migliorare la resa e la sostenibilità dell’attività agricola, la qualità produttiva e di trasformazione, le condizioni lavorative e l’impatto ambientale dell’intera filiera.